Sfide di traduzione: i modi di dire tra Cina, Corea, Giappone e Italia

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In qualità di traduttori professionisti ci capita spesso di doverci confrontare con frasi o testi che hanno un significato strettamente correlato alla cultura della lingua d’origine. Tradurre queste parti è sicuramente una delle sfide più interessanti del lavoro del traduttore. Non si tratta, infatti, di trasferire semplicemente le parole da una lingua A a una lingua B, ma piuttosto di riuscire a trovare un parallelo culturale che permetta alla frase tradotta di conservare, almeno in parte, il suo effetto sul pubblico di riferimento. Un esempio è dato dai modi di dire.

Antichi quanto l’umanità stessa, ogni società e cultura ha i propri modi di dire, latori spesso di un significato stratificato da secoli di cambiamenti sociali e ambientali. Pensiamo al modo di dire “a caval donato non si guarda in bocca”. Quale traduttore non madrelingua italiano, sentendolo per la prima volta, ne coglierebbe al volo il significato? D’altronde al giorno d’oggi non è più d’uso comune regalare cavalli, e quindi il significato di “non disprezzare mai un regalo ricevuto” è trasmesso con più difficoltà dal modo di dire. 

Pensiamo ora alle lingue asiatiche, core business di Japan’s Way. Cultura e costumi del mondo cinese, coreano e giapponese sono molto distanti da quelli italiani o europei. Di conseguenza, anche i modi di dire in queste lingue, specchio delle rispettive società, sono molto diversi dai nostri e tradurli risulta spesso un gran rompicapo che mette alla prova l’ingegno e l’inventiva del traduttore. Eppure alle volte e in modo del tutto sorprendente, non solo alcuni modi di dire hanno lo stesso significato, ma sono spesso identici, nonostante si tratti di culture così distanti. 

Partiamo dal cinese.  

Al modo di dire:  

了如指掌
liǎo rú zhǐ zhǎng 

Corrisponde l’italiano: 

Conoscere qualcuno come il palmo della propria mano 

I due modi di dire non hanno solo lo stesso significato culturale, ma esiste una corrispondenza anche letterale, infatti il carattere “掌” significa proprio “palmo della mano”. 

In coreano, invece, vi è un modo di dire diffuso anche in altre lingue, che trae origine dal latino: 

로마에 있는 때는 로마사람들이 하는 대로 하라
loma-e issneun ttaeneun lomasalamdeul-i haneun daelo hala 

Quando sei a Roma, fai come i romani 

La parola coreana “로마” indica proprio la capitale italiana, e la frase mantiene il medesimo senso letterale e culturale della sua controparte in italiano. 

Vediamo ora un esempio dal giapponese: 

吠える犬は噛まぬ
hoeru inu wa kamanu 

Can che abbaia non morde”  

La frase giapponese mantiene la stessa struttura grammaticale della controparte italiana, con la frase relativa “che abbaia” / “hoeru” che precede la frase principale. 

Infine, esiste un modo di dire che incredibilmente è identico in tutte e quattro le nostre lingue di lavoro: 

Italiano: “Battere il ferro finché è caldo 

Cinese: “趁热打铁
                    chèn tiě 

Coreano: “쇠가 달았을 때 두드려라
                        Soega dal-asseul ttae dudeulyeola 

Giapponese: “鉄は熱いうちに叩け
                               Tetsu wa atsui uchi ni hatake 

Questo modo di dire dimostra come, seppur distanti tra loro geograficamente e culturalmente, Italia, Cina, Corea e Giappone condividano un bagaglio umano e sociale a volte così affine da aver dato vita a modi di dire simili se non identici. 

Certamente non sono tanti i modi di dire che possono dirsi uguali o vicini fra loro, e sta alla bravura dei traduttori riuscire a creare o trovare somiglianze e forme comuni per unire l’italiano alle altre lingue. Ma d’altronde questo è uno degli aspetti più interessanti del nostro lavoro e trovare la traduzione che funziona è come riuscire a risolvere un enigma! 

 

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